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Round trip, viaggio di andata e ritorno. Mi appare così l’ultimo lavoro fotografico di Giampiero Marcocci. Un viaggio dentro sé stesso e tra le maglie di questo affascinante e misterioso mondo che ci circonda. E’ il paradiso, è la nostra proiezione verso spazi più ampi, in una dimensione che trascende il nostro vivere quotidiano.

Il viaggio che in fondo per ogni uomo è la ricerca della felicità, inizia con l’insegnamento dell’oracolo di Delfi : “conosci te stesso”.

L’artista fa ricorso, in questa ricerca, alla “memoria” personificata nell’Antica Grecia da Mnemosine. Alcune immagini, appartenenti al ciclo del Sogno, quali gli steli che fuoriescono con forza dalla neve e resistono alla tempesta o il castello incantato tra gli alberi di un bosco innevato, testimoniano la forza della memoria stessa che permette, come sostiene l’autore stesso di ricercare qualcosa di perduto e di irrinunciabile, qualcosa che necessita di essere guardato nuovamente. Quel sottile filo teso tra passato, presente e divenire. Custode della “bellezza” definita da Sorrentino come “l’indimenticabile”. Ma la ricerca della felicità, in greco “eu-daimonia”=buona riuscita di sé, non può prescindere dal secondo insegnamento dell’oracolo che è la conoscenza del nostro limite.

Il viaggio di ricerca continua, perciò, con il ciclo Prove di volo in cui l’autore abitando un cielo attraversato da nuvole cerca di osservare il mondo dall’alto con stato d’animo inquieto (figure che volano lasciandosi trasportare da palloncini colorati o dentro bolle di sapone) o con stato d’animo pacato (figura seduta su una nuvola in atteggiamento sereno e contemplativo). Viene da pensare, osservando queste immagini al “naufragar m’é dolce in questo mare” di leopardiana memoria.

Un viaggio che incontra spesso ostacoli insormontabili. Da ciò il Naufragio con l’annegamento e l’insopprimibile desiderio di riemergere.

Con le Visioni il cammino si avvicina alla conclusione che non è mai tale.

La tenda di un circo nei pressi di un fiume, avvolta in un’ atmosfera onirica e surreale, la passerella che somiglia alla prua di una nave in mare aperto, una scala che riflessa nell’acqua, è fuori e dentro il fiume, il tempio Mandir (incontro tra umano e divino), e l’immagine di Narciso in Me fui (titolo dell’opera ed anagramma di fiume che è purificazione), ci fanno capire che solo con l’amore verso noi stessi e verso gli altri possiamo ritrovare l’armonia e la pace interiore che sono, in fondo, il traguardo a cui tutti guardiamo.

Alla fine di questo percorso dentro indimenticabili “scatti” risuonano le parole di Oscar Wilde e Gorgia : “La memoria è il diario che ciascuno porta sempre con sé”,

“I divini incantesimi compiuti con l’arte possiedono una potenza che blandisce l’anima persuadendola e trascinandola con il loro fascino”.

 

Testo di Angela Troilo

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