Il termine “fotografo ambulante” fu in auge quasi contemporaneamente alla nascita stessa della fotografia. Infatti, coloro che appresero le tecniche di sviluppo e stampa delle lastre del dagherrotipo e avevano una macchina a loro disposizione si sguinzagliarono in tutta Europa (e non solo) aprendo studi e botteghe ove si erano temporaneamente fermati. I motivi sono da ricercare in due aspetti principali: da un lato l’intento di riprendere le bellezze architettoniche e paesaggistiche e dall’altro verso la ricerca di nuovi mercati, primo fra tutti, la ritrattistica. I quattro quinti delle foto scattate nel XIX secolo sono ritratti. La democrazia dell’immagine si ottenne con la nascita della fotografia, mandando in pensione in pochi anni i pittori che ritraevano, per lo più, membri della nobiltà. Con la fotografia e il notevole abbassamento dei costi, poterono accedere alla propria immagine anche le masse popolari. Questa nuova metodologia permise in Europa, verso la fine del secolo, di dare vita al fenomeno dei “fotografi ambulanti” che giravano nelle fiere di paese, nelle piazze e negli angoli di strada, nei paesi e si spostavano in bicicletta o con asini e muli, portandosi dietro tutto il necessario, dagli acidi di sviluppo ai fondali improvvisati con dei lenzuoli bianchi. Le foto venivamo scattate all’aperto per sfruttare la luce del giorno. Gli stessi fotografi ambulanti presentavano il loro lavoro come “istantaneo” poiché impiegavano tra i due e i cinque minuti a consegnare l’immagine finita e asciugata. Quasi una polaroid ante litteram. Dopo la prima guerra mondiale le lastre furono sostituite con la carta fotografica molto più maneggevole e facile da usare. Questo fenomeno durò, con alterne vicende, fino alla seconda guerra mondiale, quando venne introdotto l’uso di fotocamere a basso costo che consentivano facilmente riprese e ricordi familiari.