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Documentary

In queste fotografie dell’ex Ospedale Psichiatrico di Teramo, traspare una forte comunicabilità emotiva fatta di echi, di memorie. Immagini prive di presenza umana ma che ne testimoniano il passaggio attraverso gli oggetti ancora presenti negli spazi e le pareti consunte dal senso di vissuti che non senza nostra responsabilità abbiamo pensato dovessero svolgersi ai margini della vita quotidiana. Attraverso queste foto sembra che si possa vivere veramente nel mondo che ha molto da sussurrarci o da urlarci, chiuso in se stesso, in una dimensione umana angosciante, dove la mente offesa dalla rassicurante virtualità dei nostri tempi, trova il suo confino sociale. Questo è per noi un interrogativo su una situazione umana circoscritta all’interno di un edificio ricoperto di grate di ferro che delimitano la libertà: è l’idea d’isolamento che prevale, nella confessione di un qualcosa che pensiamo sia oltre noi, che non ci tocchi minimamente e che invece incombe anche sulla nostra esistenza. La scelta del bianco e nero è un modo per porre la visione dell’osservatore non semplicemente sulla pura registrazione della realtà, per concentrare l’attenzione su una interpretazione concettuale che richiede più che il coinvolgimento degli occhi quello dell’interiorità, in questo mondo rappresentato non ci sono colori. Sono scorci di ambienti di forte contrasto tra luce e ombra, che esasperano i volumi, le forme che occupano i piani visivi e cerca di appropriarsene, congelando la storia di quei luoghi, cercando di comprenderla nel tempo minimo di uno scatto fotografico. Queste inquadrature sembrano arrestare il tempo, generano un sublime silenzio senza principio e senza fine, la malinconia domina nel momento contemplativo. Nelle viscere esistenziali di questa tematica senza mai peccare di sentimentalismo: con i forti tagli di luce, la vibrazione tecnica, ora più lucida, ora più sfocata, della pellicola fotografica, la incisività dei segni sulla superficie, ci restituiscono una visione del Manicomio di Teramo di inquietante espressività.

 

Testo di Antonello Rubini

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