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Documentary

Ho immaginato la casa come estensione del proprio io, della percezione che ognuno di noi ha dello stare con se stessi; ho immaginato persone nelle loro case comode, piene di confort e lusso, e persone come Gabriele, che pur vivendo una condizione di deprivazione del superfluo mostrano un viso più sereno poiché perseguono una vita in cui possono riconoscersi, ai nostri occhi più dura ma forse più umana. Gabriele sembra un uomo di altri tempi. La sua abitazione è priva di utenze, niente gas, acqua, elettricità, niente tv, internet e social, niente termosifoni né acqua calda. Racconta che nonostante ciò, non si ammala da oltre due anni. Cinquantacinque anni, sposato ma separato, afferma di vivere in questa dimensione per scelta personale e di “essere felice”. Si arrangia guadagnando mance di pochi euro in cambio di piccoli lavoretti. Con quelli, senza avere spese fisse, compra da mangiare per se e per la colonia felina che rappresenta in qualche modo la sua famiglia. Ricarica il piccolo gas da campeggio con il quale cucina e il suo cellulare vecchio stile; per l’illuminazione si avvale di un impianto di lampadine led a batteria solare. I suoi pasti semplici, a base per lo più di pasta e l’arredamento è completamente riciclato e reinventato da lui. Ha rifiutato chi gli suggeriva di acquisire, attraverso domanda, sia il reddito di cittadinanza che una pensione civile, rispondendo che con tutti quei soldi non avrebbe saputo che farsene, magari avrebbe cominciato a fumare e bere.

Riuscire a staccarsi dalle cose del mondo, diceva Terzani, non vuol dire diventare indifferenti, ma semplicemente non esserne schiavi.

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